Presentazione della sezione "Borghi della Ciociaria"

In queste pagine troverete informazioni sul patrimonio storico, artistico, culturale e paesaggistico di gran parte dei comuni della Ciociaria

Data di pubblicazione:
03 Ottobre 2020
Presentazione della sezione "Borghi della Ciociaria"

"La carta geografica della Ciociaria è una fantasiosa mappa letteraria dai confini vagamente sfumati. Per fortuna la nostra terra sta sempre sotto il segno della maga Circe, che possiede il potere di mutare le forme e l’essenza delle cose viventi"

Con queste parole si esprimeva Anton Giulio Bragaglia in relazione alla mancanza di confini ben definiti per questa Regione Storica, ma erano tempi in cui un grande regista e saggista come Bragaglia, nativo di Frosinone o un poeta come Libero De Libero, nativo di Fondi, erano orgogliosi della propria identità ciociara e tramite un codice emotivo comunicavano il loro attaccamento a questa terra.

(Testo tratto da "Viaggio in Ciociaria – Regione storica dai confini sfumati" di Cristina Amoroso).

"La Ciociaria Storica è proprio così: l’antico territorio a Sud di Roma, all’incirca fino al Garigliano, una volta patria dei Volsci, dei Sanniti, degli Ernici poi divenuto Campania, poi Latium Novum, quindi Campagna di Roma, è stato per venticinque secoli un solo territorio e una sola regione. Di questa regione, nel corso delle vicende storiche, la parte compresa tra i fiumi Liri e Garigliano - il Cassinate, il Sorano, il Fondano- divenne appendice settentrionale di Terra di Lavoro, una delle province del Regno di Napoli, mentre tutto il resto al di là del Liri, era possedimento dello Stato della Chiesa.

L’indipendenza dell’Italia e il successivo Ventennio Mussoliniano ebbero per conseguenza che la cosiddetta Alta Terra di Lavoro menzionata tra il Garigliano e il Liri, venne opportunamente accorpata alla neo istituita provincia di FR che, assieme a quelle di LT e di RM, rappresentarono, in realtà, la frantumazione dell’antica regione, fino allora una e indivisibile e unita. Tutti gli anni trascorsi dal fatale 1927, certamente pregni di fatti e di novità, sono stati all’insegna del più puro particolarismo e campanilismo, nella ignoranza e negligenza totali e complete delle comuni radici e della comune storia: se cioè oggi si interroga un cittadino di Frosinone o di LT o di RM, nulla e niente conosce della comune identità, della secolare fusione dei destini: magari padroneggiano tutti la storia di Circe e di Coriolano e di Caio Mario e di Enea e dei Volsci ma zero della secolare convivenza e comune appartenenza." Testo di Michele Santulli.

Quid est Ciociaria?  (curiosità)

La provincia di Frosinone, cuore della Ciociaria, è una terra antica, lo attestano i ritrovamenti archeologici di resti di un ominide preistorico tra i più antichi d'Italia e d'Europa, risalente a 400.000 anni fa, l'Homo heidelbergensis, detto anche Argil, ritrovati dal Prof. Italo Biddittu nel 1994 e conservati nel Museo Archeologico di Pofi.

E' una terra ricca di fascino e di secolari tradizioni, un territorio che custodisce dei veri gioielli artistici, certose ed abbazie (le abbazie di Montecassino e di Casamari e la Certosa di Trisulti),  importanti siti archeologici (l'Acropoli di Alatri, l'Acropoli di Arpino e l'Acropoli di Ferentino, l'Antica Fregellae (Isoletta d'Arce), Aquinum (Castrocielo), il Parco archeologico Casinum (Cassino), borghi medievali ben conservati (Fumone, Vico nel Lazio, Boville Ernica, Monte San Giovanni Campano, San Donato Val di Comino),  città ricche di storia (Anagni, Alatri, Arpino, Ferentino, Veroli),  rocche, castelli, grotte e verdi itinerari immersi nella natura si intrecciano con i sapori genuini di una tradizione enogastronomica semplice, ricca e generosa.

In queste pagine troverete informazioni sul patrimonio storico, artistico, culturale e paesaggistico di gran parte dei comuni della Ciociaria.

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La Ciociaria nell'arte

Il  libro "Il costume ciociaro nell’arte europea del 1800" di Michele Santulli, è un testo che per la prima volta si propone di ricostruire le origini storiche di un soggetto fondamentale della pittura europea, su un arco di tempo di oltre centocinquantanni.

Per ben comprendere l’evoluzione di questo tema iconografico, bisogna penetrare nel contesto sociale romano della metà del XVIII secolo. Da un lato, di questo palcoscenico eccezionale, incontriamo i pellegrini provenienti a migliaia, ormai da secoli, da ogni parte d’Italia e d’Europa; dall’altro, i visitatori, anzi i “touristi”, quasi esclusivamente europei, all’inizio soprattutto inglesi, rappresentati da artisti di tutte le discipline, da intellettuali, da aristocratici e da nobili, da mercanti d’arte, alla ricerca delle antichità classiche, del cielo italiano, dell’atmosfera antica.

Migliaia e migliaia sciamavano verso Roma, in un viaggio estenuante e pieno di pericoli, a cavallo o in carrozza e i meno fortunati a piedi o via mare. Gli uni, i pellegrini, ansiosi di svuotarsi e liberarsi, anche in cambio di soldi, dei loro peccati e delle loro colpe e gli altri, i ‘touristi’, ansiosi di liberarsi delle esperienze fatte e delle vicende vissute in patria e quindi avidi di aprirsi e di gustare nuove prospettive e nuovi mondi, di respirare arie nuove.

Al centro, il popolino romano, complessivamente spento e oppresso da un secolare prepotere papalino; al suo interno la presenza dei ciociari, immigrati nella città perchè spinti dalla fame e dalla miseria cospicua, svolgevano le professioni più impensate: venditori di ortaggi e di alimentari, pastori in mezzo alle rovine romane, indovine, cartomanti, venditrici di fiori e di fiammiferi nei luoghi turistici, ballerine e cameriere nelle trattorie e nei caffè, modelle e modelli, venditori di fortuna con la scimmia e/o il pappagallo, rigattieri, domestiche (in particolare le balie) e poi naturalmente gli zampognari e i pifferari. Tutta una umanità sgargiante nei costumi indossati che si imponeva ed evidenziava su quella ribalta unica al mondo che era Roma.

E gli artisti stranieri, ve ne erano di tutte le parti dell’Europa perfino della lontana Russia e della Scandinavia, imbevuti delle loro reminiscenze classiche, al cospetto di quel mondo irripetibile che era Roma, tornavano a nuova vita, a nuove sensazioni e turbamenti. E uno degli spettacoli che più eccitava la loro fantasia e più li ammaliava ed incantava era indubbiamente la bellezza del costume ciociaro, facilmente identificabile nell’anonimato della folla amorfa e incolore: sfolgorante nei rossi sfarzosi, negli azzurri sfavillanti, nei verdi scintillanti, nelle calzature così strane eppure così note; e poi i corpi: quelle carni brune e levigate, quegli occhi neri luccicanti delle donne, quelle capigliature ricciute e ispide degli uomini, quelle fisionomie riarse dal sole e solcate dalla fatica. Questa umanità rappresentò per gli artisti e intellettuali stranieri la vera e grande scoperta del loro viaggio e altresì, nella loro fantasia, la rivisitazione del mondo agreste classico, romano e greco; questa che vedevano in giro sfolgorante e smagliante era per loro la autentica popolazione di Roma. I romani erano i ciociari. E così fu per tutto il secolo a venire.

Il costume ciociaro è stato letteralmente eternato da una produzione pittorica immensa e quindi, a buon intenditore, la sua immagine è perfettamente chiara ed esaustiva: non c’è alcun costume regionale al mondo che disponga di una documentazione così eccezionale come il costume ciociaro. Nessun costume - nemmeno quelli più conosciuti quale il brettone o l’olandese, il tirolese, il bavarese o lo scozzese - può vantare una documentazione iconografica così ricca e variegata, estesa su un arco di tempo di oltre centocinquantanni.

Se l’iniziatore del genere puo’ essere considerato Hubert Robert con un quadro interamente consacrato al tema, datato 1763, sono pochi gli artisti europei che tra la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo non abbiano realizzato almeno un’opera con un personaggio ciociaro. Già tale costatazione è fonte di vero e proprio sconvolgimento poiché una realtà analoga non è riscontrabile in siffatta entità in nessuna epoca della storia dell’arte e per nessun soggetto. Tanto e tale è stato, e lo è ancora oggi, il suo successo. Si ricordi infatti la grande mostra di quadri “ciociari” proposta lo scorso anno a Parigi nella mostra Voir l’Italie et mourir al Museo d’Orsay.

Tra gli artisti più rappresentativi citiamo H. Vernet, L. L. Robert, Géricault, Giacinto Gigante, Pitloo, Boecklin, Feuerbach, Fries, C. Haag, Unterberger, Fontanesi, Brjiullov, A.J. Strutt, Eastlake, Leitch, Signorini, Fattori, Lega, Hayez, Mancini, i fratelli Palizzi, Smargiassi, Bouguereau, Corot, gran parte dei danesi, svedesi e norvegesi. Tra le fine del XIX e l’inizio del XX secolo, sarà soprattutto il modello femminile ciociaro a diventare il tema prediletto di Degas, Toulouse-Lautrec, Renoir, Van Gogh, Cézanne, Picasso, De Chirico, Severini.

Con il passare del tempo il costume ciociaro diventa sinonimo di “costume italiano” per antonomasia, perdendo in qualche sorta le sue origini tradizionali. Un vero peccato, tenuto conto dell’enorme fortuna commerciale avuta da questo genere sul mercato antiquario. Infatti una produzione immensa viene realizzata a partire dal 1850 anche dagli artisti romani veri e propri e poi commercializzata come souvenir di Roma, quasi un gadget, per i pellegrini e i turisti, letteralmente veicolata in ogni angolo della Terra. Tale produzione pittorica viene definita pittura romana o figure romane o pittura della campagna romana! Il soggetto unico è sempre e solo il ciociaro. Eppure mai appare il titolo di “Pastore ciociaro” o di “Ragazza ciociara”. Il “ciociaro” non esiste più, ormai metabolizzato dal “romano”, eppure oggi sappiamo che le sue origini son ben diverse.

Michele Santulli
Il costume ciociaro nell’arte europea del 1800, Grafiche del Liri, Isola del Liri, Edizioni Ciociaria Sconosciuta, 2009.

Nell’Arte la “donna ciociara” divenne sinonimo di “donna italiana”. Il pittore e scultore Rodin riteneva che le ciociare fossero le migliori modelle del mondo. Alcuni nomi delle più celebri: Agostina Segatori, Antonia Caiva, Carmela Bertagna, Maria Veronica Latini, Nanna Risi e Rosalia Tobia.

Scrive Michele Santulli: “ … le calzature primitive e sudice si ingentiliscono a poco a poco in una  nuova forma, addirittura ‘classica  ed elegante’, gli stracci variopinti indossati diventano un costume, il costume ciociaro, il costume di Roma, il costume d’Italia:  il più illustrato e più conosciuto: tutti gli artisti europei, a partire dai massimi, hanno dipinto il ciociaro tanto che nei musei e gallerie del pianeta è arduo non rinvenirvi appeso un quadro ciociaro!”

Ultimo aggiornamento

Martedi 19 Luglio 2022