Villa Santo Stefano e la "Panarda"

Il territorio di Villa Santo Stefano è in prevalenza collinare: si estende dalla cima di Monte Siserno (791 m.s.l.m,) fino alle rive del fiume Amaseno (49 m s.l.m.).

Data di pubblicazione:
23 Settembre 2020
Villa Santo Stefano e la "Panarda"

La Torre dedicata al re volsco Metabo, all'ingresso del paese.  Di origine medievale, venne ristrutturata nel Quattrocento e nel suo complesso prese alloggio il castellano con i suoi armigeri.

Il mito fondativo di Villa Santo Stefano racconta che il re volsco Metabo, padre della principessa guerriera Camilla, era solito cacciare in questo territorio, ed a memoria di questo è stata eretta un edificio ancora esistente, la Torre di re Metabo, situata all'ingresso del centro storico del paese. Le gesta del re volsco sono raccontate nell'Eneide di Virgilio, che inoltre cita il fiume Amaseno, collocando geograficamente la mitica vicenda all'interno del territorio santostefanese:

«Ecco un giorno assalito con la caccia / Dietro, fuggendo, a l’Amasèno arriva. / Per pioggia questo fiume era cresciuto, / E rapido spumando, infino al sommo / Se ne gía de le ripe ondoso e gonfio.»

(Eneide, Virgilio)

Secondo la verità storica, i primi insediamenti erano localizzati sulle rive del fiume Amaseno, e sono risalenti all'epoca romana. Sulla montagna alle spalle del paese sono stati riscontrati resti di epoca tardo-romana, appartenenti ad insediamenti rurali.

In seguito alle invasioni barbariche ed alle imprese saraceniche, la popolazione sparsa nelle campagne risalì le più sicure pendici del monte Siserno, dando vita a Castrum Sancti Stephanii. All'inizio del XIII secolo il territorio santostefanese è in mano alla famiglia De Ceccano, che fece erigere la fortificazione, il palazzo del Marchese e la torre dedicata a Metabo, per accogliere la popolazione al suo interno. Nel 1224, Giovanni I de Ceccano cede al figlio primogenito Landolfo II il castello di Santo Stefano insieme ad Arnara, Patrica e Pisterzo.

Il feudo verrà venduto nel 1425, ai signori Antonio, Prospero ed Odoardo Colonna. I Colonna saranno i baroni di Santo Stefano fino al 1816, anno in cui i detti signori rinunceranno a tutti i loro feudi a causa della soppressione dei feudi avvenuta con Napoleone, il territorio di Villa Santo Stefano passò allo Stato Pontificio. Con la formazione del Regno d'Italia, Santo Stefano è entrato a far parte della Sotto Prefettura di Frosinone e del Mandamento di Ceccano. Nel 1872 Santo Stefano cambiò denominazione in Villa Santo Stefano a causa delle numerose omonimie con altri comuni.

Con gli altri paesi del frusinate, anche Villa Santo Stefano ha vissuto il fenomeno del brigantaggio, conseguenza diretta della presenza napoleonica nel basso Lazio tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. Villa Santo Stefano ha avuto sempre un’economia povera, basata sull’agricoltura e sulla pastorizia, ed ha conosciuto la diaspora dell’emigrazione verso Stati Uniti, Canada ed Argentina alla fine dell'Ottocento.

La "Panarda" e' una  zuppa di ceci cucinata in calderoni di rame stagnato (callare) in onore di San Rocco.  Dopo la benedizione e la conseguente processione, la zuppa viene distribuita a tutti i presenti (fedeli, cittadini e turisti) - Foto di Ferdinando Potenti

La Panarda, dedicata al santo protettore San Rocco, risale circa all'anno 1601. 

Secondo l'usanza, la festa ha inizio la sera del 15 agosto: la statua lignea del santo viene portata in processione e traslata dalla chiesa di San Sebastiano alla chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo, situata all'interno del centro storico. In piazza Umberto I, dopo la processione, i maestri di mensa aiutati da circa trenta inservienti (i "panardari") accendono quaranta caldaie di rame in cui nella notte vengono cotti sette quintali di ceci.  

A mezzogiorno del 16 agosto, i ceci accompagnati dalle pagnottelle vengono benedetti per poi essere distribuiti alla popolazione. La caratteristica principale della tradizione sta nella modalità di distribuzione dei ceci: gli inservienti, vestiti in costume tradizionale verde ed amaranto a simboleggiare i colori del gonfalone comunale, a turno si presentano sul sagrato della chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo con una brocca di coccio, ricevono dai maestri di mensa i ceci, il pane e l’indirizzo del destinatario della porzione di zuppa, si dirigono di corsa a piedi verso l’abitazione indicata

 

La leggenda di Camilla, Regina dei Volsci e del padre Metabo

Camilla è un personaggio dell'Eneide di Virgilio, figlia di Casmilla e di Metabo, tiranno di Privernum, una delle città dei Volsci.

Quando il padre viene cacciato dalla sua città a causa del duro governo, porta con sé Camilla ancora in fasce (della madre di Camilla non si sa più nulla, forse è morta nel dare la figlia alla luce). Durante la fuga, inseguito da bande di concittadini, giunge sulla riva del fiume Amaseno che per le piogge abbondanti si era gonfiato al punto da non poter essere guadato. Metabo avvolge la piccola con la corteccia di un albero, la lega alla sua lancia e la getta sull'altra riva del fiume. Raggiunto dai suoi avversari, si tuffa in acqua e attraversa il fiume a nuoto. La leggenda narra che Camilla sia arrivata sull'altra sponda del fiume sana e salva perché il padre la consacrò alla dea Diana (da questa consacrazione le sarebbe derivato il nome Camilla)

La bambina cresce con il padre nei boschi, tra animali selvaggi e pastori, nutrita di latte di cavalle selvagge. Appena comincia a muovere i primi passi, Metabo le dona arco e frecce e le insegna ad usarli. Camilla non indossa vestiti, ma solo pelle di tigre. La ragazza impara ad usare anche il giavellotto e la fionda, ha un fisico perfetto: così veloce da superare il vento nella sua mascolinità, ma al tempo stesso donna di grande bellezza.

Camilla sembra provare amore solo per le armi dopo aver giurato verginità eterna come la dea alla quale il padre l'aveva affidata quando era ancora bambina.

Quando Enea giunge nel Lazio per scontrarsi con i Rutuli, Camilla soccorre Turno alla testa della cavalleria dei Volsci e di uno stuolo di fanti. La sua figura incute spavento e la sua baldanza è senza pari. Turno, però, pur ammirando il nobile gesto ed il coraggio di Camilla, decide che la sua alleata affronti solo la pericolosa cavalleria tirrenica, riservando per sé il compito di contrastare e battere Enea.

Gli atti di valore di Camilla non si contano: fa strage di nemici, si lancia in ogni mischia, insegue e colpisce a morte ogni avversario che vede, affronta ogni pericolo. Solo non si accorge del giovane etrusco Arunte che la segue nella battaglia per cercare di sorprenderla. Camilla crea lo scompiglio nei pur forti Etruschi e mette in fuga le schiere nemiche al punto che deve intervenire il re Tarconte per fermare i suoi ormai in rotta. Arunte coglie l'occasione: l'eroina, avida di ricca preda, scorge il frigio Cloreo, che in patria era sacerdote di Cibele; questi sfoggia una panoplia abbagliante di oro e porpora, coperto da una clamide color del croco mentre scaglia frecce dalle retrovie col suo arco cretese. Camilla si mette al suo inseguimento e dimentica tutto il resto. Allora il giovane etrusco, non visto dall'eroina, le scaglia contro un giavellotto che Apollo guida e che la ferisce a morte. Sarà per questo ucciso da una freccia di Opi, ninfa del seguito di Diana, per volere della dea stessa.

La morte della vergine Camilla è il preludio della sconfitta dei Rutuli e degli italici tutti.

Camilla è un personaggio puramente mitologico e le sue vicende vengono narrate nel libro XI dell'Eneide.

Dante nel canto I, v.107 dell'Inferno, la fa menzionare da Virgilio, insieme ad altri personaggi del poema, nello specifico Eurialo, Turno e Niso, nel suo secondo monologo, dove spiega a Dante il percorso che dovrà seguire. Camilla appare inoltre in persona accanto alla regina delle Amazzoni Pentesilea nel canto IV, v. 124, nel nobile castello degli Spiriti Magni.

Foto di  Ferdinando Potenti, Emilia Trovini, Enzo Sorci, Fabio Marzi, Fabrizio Monti, che si ringraziano per averle concesse in uso alla Provincia di Frosinone.

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Ultimo aggiornamento

Giovedi 15 Aprile 2021